Commovente racconto dal Madagascar di don Gigi Maresu, ex ''motore'' dell'oratorio salesiano cittadino, ora missionario in Africa
Il ragazzo che scaccia i marten
I marten sono degli uccelli. Da noi in Italia li chiamano martin pescatore. Questi però a me sembrano diversi: hanno le piume marron oscure e anche nere e bianche. Sono uccelli strilloni, pettegoli, sempre affamati. Molto molto intraprendenti. I primi a piazzarsi sulla finestra al mattino, e a cantare come ubriachi per farsi sentire, in competizione con i galli, e . per svegliare tutti.
Nella collina di fronte a noi lavora una ditta cinese che utilizzando queste campagne bellissime, generalmente esposte al sole e dove l'acqua in ottobre novembre e dicembre è abbondante, da vari anni coltivano la vite e producono del vino. Tanto. Poi lo vendono per tutto il Madagascar, a cinque e sei mila franchi ogni tre quarti di litro. Ci guadagnano bene e sono costanti nel coltivare i vigneti e vendemmiare il pregiato ottimo frutto. La vendemmia sarà forse il prossimo mese.
I marten, sempre numerosissimi, soprattutto nel periodo in cui mettono le uova perché primavera inoltrata, affamati come sono, vanno a cercare di mangiare l'uva.
I cinesi per proteggere il frutto che poi darà il vino, man mano che matura, danno lavoro a chi caccia via i martin. Persone che li cacciano a dovere. Generalmente utilizzano una grossa lunga frusta che è fatta da un bastone e dalla corda con intrecci dapprima molto grossi lungo circa due metri, e dopo, lo spago, fino, quello che fa un rumore secco, forte e a volte lacerante che si sente a distanza. Questo colpo di frusta caccia via i marten dalla zona dell'uva.
Nei vari ettari di uva ce ne sono almeno quattro di persone con questa frusta enorme e allertante con la presenza del possessore esperto musico, pronto anche a strillare.
Avrà 13 anni, non credo di più, alto non più di un metro e 40 centimetri, vestito pesante con calzoncini corti del colore della terra, e una felpa qualche anno fa nuova, che lascia intravedere l'ombelico per vari centimetri. Scalzo come tutti in questo quartiere di tanta campagna. E con le gambe e anche la faccia che fa capire che l'acqua in casa è molto preziosa, e andare a prenderla lontano non serve perché almeno un po' per bere c'è sempre. Silenzioso, con la frusta in mano che va da sola, scuotendolo tutto, e con professionalità schivando la stecca finale che potrebbe fare davvero male. Con gli occhi sbarrati guardando attorno ciò che accade.
Me lo sono visto di fronte all'improvviso, con le ciglia spalancate, lo sguardo verso di me che passo in quel momento, arrivato da quelle parti per capire come funziona quella lunga corda ben intrecciata con il suo rumore secco e fortissimo.
Lo sguardo di questo di questo ragazzo e il suo silenzio mi ha davvero impressionato. Gli occhi spalancati e impietriti.
Ho salutato, ho sorriso, ho augurato ogni bene, ho posto la domanda per sapere se i marten erano tanti, se il lavoro andava bene, se tutto nella sua vita fosse positivo. Niente. Nessuna risposta.
Si infila in un altro filare senza staccare lo sguardo da me, e dall'altra parte fa suonare la frusta in modo più acuto, e non parla, non sorride nè risponde.
Tento di avvicinarmi, e lui si allontana, retrocedendo, senza staccare lo sguardo dal mio. Alzo le mani come per dire "Scusami, volevo offrirti delle caramelle", ma non può nemmeno averle viste. Lo sguardo su di me determinato, urgente. Una chiamata costante dal profondo del cuore, come un grido di aiuto. Un racconto di solitudine, di crescita e di sogni spezzati. Di futuro impossibile da vivere da solo; ora l'unico da perseguire. Mi viene una tristezza enorme perché inavvicinabile.
Mi allontano pian piano voltandomi spesso. Vado via. Sento la frusta con una sequenza mai udita prima da nessun'altra parte. Saluto a voce sempre più alta e con gesti della mano, fin quando lui scompare.
Sinceramente mi sarebbe piaciuto chiacchierare un po', fargli compagnia, sentirlo.
Si sentono i colpi di frusta e a me paiono più laceranti. Si sentono solo i suoi.
Mentre scendo e rifletto sulla situazione di questo ragazzino e sul futuro che lo attende, incontro un uomo ben vestito, gli occhi chiaramente cinesi, sorriso cordiale. Abbassa nel saluto anche un po' la testa con le mai sul petto. E mi dice:
- Conosco bene quel ragazzo: è il lavoratore della vigna più bravo che io abbia mai conosciuto, non si allontana mai dal lavoro. Il primo ad arrivare al mattino e l'ultimo ad andar via la sera. Io mi fido molto di lui.
Io non rispondo. Percepisco però dal sorriso non eccessivo che stima davvero quel ragazzino. Ma io non capisco perché mi abbia voluto parlare di lui.
- Certo dispiace anche a me che Tolotra sia sordo, ma io non ci posso fare niente.
Ora mi è tutto chiaro. Ed io sono ancora più triste.
Man mano che rientro a casa sento chiaro in lontananza il colpo secco e forte che allontana i marten. E' ormai tardi e quando arrivo alle soglie di casa mia è ormai buio. Mi pare ancora di sentire forte quei colpi di frusta e fortissimo il grido di aiuto dallo sguardo di Tolotra.
Povero me, dopo vari giorni mi fa ancora male il cuore a pensare a questo ragazzo di 13 anni sordo.
Quale il suo futuro di questi tempi qui in Madagascar? Chi riuscirà a farlo star bene? A farlo sorridere? Io andrò ancora a trovarlo, ci proverò.
don Gigi Maresu
25/02/2006 ore 15:18 in http://www.civonline.it/